Saturday, February 11, 2006

SPORT - Il Libro - parte 2. (Da Acido Lattico a La Resistenza Organica Anaerobica)

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ACIDO LATTICO
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COINVIVERE CON L’ACIDO LATTICO:

Abbiamo visto come in presenza di sforzi intensi la contrazione muscolare conduca inesorabilmente alla produzione di acido lattico. Questo, che a prima vista può sembrare un danno per il tessuto muscolare (intossicazione, quindi dolore, affaticamento), può diventare, attraverso opportuni allenamenti, un’ulteriore riserva di energia utilizzabile dall’organismo.
Infatti, contratto un debito d’ossigeno che ha portato alla produzione di acido lattico, abituando l’organismo a saldare tale debito, si ha il risultato che in presenza d’ossigeno, un quinto dell’acido lattico presente viene ossidato per fornire l’energia necessaria per trasformare i rimanenti quattro quinti in acido piruvico (nel fegato per gliconeogenesi) senza che questo debba essere sintetizzato dal metabolismo dei carboidrati (cioè risparmiando glucosio e glicogeno).
Gli allenamenti, quindi, dovranno avere, in momenti ben precisi, la caratteristica di abituare l’organismo alla produzione ed al riutilizzo dell’ acido lattico, con molta attenzione ai livelli di produzione, poiché un accumulo troppo elevato porterebbe ai fenomeni di intossicazione sopra citati.
In definitiva tutto questo serve ad aumentare la resistenza organica anaerobica, cioè la capacità di sopportare quantità sempre maggiori di acido lattico, allontanando nello stesso tempo il punto di affaticamento che costringe alla sua produzione, aumentando la capacità di debito d’ossigeno accumulabile.
Inoltre allenarsi a queste condizioni porta a favorire altri processi fondamentali per un atleta: la produzione di acido lattico avviene in prossimità della soglia massima del ritmo cardiaco, questo significa che la ripetizione programmata per periodi stabiliti di azioni che portano il ritmo cardiaco intorno a tale soglia massima, produce un aumento delle capacità cardiache con conseguente maggior flusso ematico verso i tessuti muscolari e una maggiore loro ossigenazione. Questo fa si che si innalzi il tetto di resistenza organica aerobica, con conseguenza di allontanare il punto in cui si contrae il debito d’ossigeno.


ACIDO LATTICO (lattato) – ACIDOSI LATTICA FISIOLOGICA:

come abbiamo visto l’esercizio fisico massimale provoca acidosi lattica fisiologica. Questo si sviluppa a livello delle attività glicolitica citoplasmatica e ossidativa mitocondriale. Il normale metabolismo dei tessuti produce circa 1400 mEq/die, ma l’equilibrio deve essere assicurato anche quando, a seguito di stress anaerobio muscolare (esercizio fisico massimale) i ritmi di produzione si incrementano fino a decine di volte i livelli basali.

I livelli di lattato sono determinati dal ritmo di produzione del piruvato (acido piruvico), dipendente a sua volta soprattutto dalla glicolisi (quote minori derivano dalla tranaminazione dell’alanina nel muscolo e nell’intestino, o dalla glutamina nel rene). In condizioni fisiologiche il destino del piruvato è mitocondriale, attraverso una via degradativa, via AcCoA ed inserimento nel ciclo dei TCA e due vie sintetiche, di cui la prima, ancora attraverso l’AcCoA, è indirizzata verso la sintesi di diversi composti (acidi grassi, corpi chetonici, colesterolo, ormoni steroidi, acetilcolina), l’altra, più rilevante in termini quantitativi, è alla base della prima tappa, mitocondriale, della gliconeogenesi.

Sia le glicolisi che la funzione mitocondriale, trovano un fattore critico di regolazione nella disponibilità di ossigeno. Infatti di fronte ad un deficit di O2, sia per difettoso apporto, o difettoso utilizzo, i livelli di piruvato e, quindi di lattato, aumentano [questa risposta dipende dagli effetti prodotti dal disturbo ipossico sul pool energetico (deplezione di ATP) e sullo stato “redox” cellulare (aumento della quantità di NADH e quindi del rapporto NADH/NAD)].

Il lattato possiede una cinetica complessa, basata sull’equilibrio tra organi prevalentemente produttori (cellule ematiche, muscolo scheletrico, cute, intestino, midollare renale) ed organi che in condizione basale lo sintetizzano (fegato e rene) attraverso meccanismi mitocondriali. Tra questi una particolare rilevanza in termini quantitativi, è da attribuire alla gliconeogenesi. È infatti verso questa via che è indirizzata la maggior quota di piruvato, al fine della conservazione dei substrati energetici, secondo un meccanismo di recupero del glucosio (ciclo di Cori) da destinare agli organi dove è substrato indispensabile (cervello, eritrociti).
Nella fase fisiologica di recupero dell’acidosi lattica spontanea (lavoro anaerobico muscolare) assume rilevante importanza la piruvato-carbosillasi epatica, da cui prende inizio la via di smaltimento del lattato quantitativamente più rilevante.
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fig. VI - Ciclo di Cori
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tab. b - Note di fisiologia del lattato
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tab. c
Fattori di regolazione della produzione e utilizzo del lattato
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fig. VII
Glicolisi e vie di utilizzazione del piruvato
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.fig.VIII
Deficit di O2 e acidosi lattica
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Fonte: “FM AGGIORNAMENTI”
A. Borghetti – A. Guariglia
(Università degli Studi di Parma)
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PRIMA DI TUTTO RESISTENZA
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tab. d
Parametri fisiologici dello sportivo e del sedentario
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RESISTENZA FISICA

Essere resistenti è la condizione indispensabile per tutti gli atleti che praticano discipline di durata, ma è importante anche per quelli che praticano uno sport di squadra (calcio, pallacanestro, pallavolo, ecc.) e per chi pratica discipline veloci ed esplosive. La resistenza generale (buona efficienza del sistema cardiocircolatorio) è alla base di tutte le discipline sportive. Negli sport dove il sistema aerobico è quello che fornisce l’energia indispensabile allo sforzo, il miglioramento della resistenza generale è il primo passo verso prestazioni di qualità.
Negli sport di squadra il discorso è molto più complesso, ma nessuno può negare che un pallavolista necessita di una resistenza al salto, o meglio al gesto esplosivo, che un calciatore deve sviluppare la resistenza allo scatto e così via.
Quindi l’allenatore dovrà preparare programmi che tengano conto della durata della gara, del tipo di sforzo, del carattere delle pause e di tanti altri aspetti specifici dell’intervento.

Un’altra caratteristica molto importante è che attraverso l’allenamento prolungato si migliora la capacità di stabilire rapidamente gli equilibri idrosalinici e termici. Anche questo aspetto, che è fondamentale per i fondisti, risulta importante per gli atleti che gareggiano in determinate condizioni (temperature elevate, alta percentuale di umidità), poiché le difficoltà a smaltire il calore prodotto dal lavoro muscolare determina una scarsa efficienza del sistema nervoso centrale, cioè un appannamento tecnico-tattico, imprecisione, scarsa reattività.
Infine con l’allenamento alla resistenza si impara a convivere con la fatica ed a migliorare alcuni aspetti psicologici: è utile fare dei test da campo a carattere di resistenza.

Un altro aspetto importante è il carattere multilaterale dell’allenamento che deve essere visto anche per instaurare rapporti arto-muscolari ottimali. Un’importanza enorme va attribuita al potenziamento mirato dei muscoli antagonisti e all’allungamento della muscolatura principale. Quindi a seconda della specificità dello sport praticato, è necessario determinare quali siano i muscoli che presentano deficit di forza; questo in genere è il caso degli antagonisti dei muscoli più impegnati e che vanno, quindi, rinforzati in modo specifico.
Così pure vanno individuati i gruppi di muscoli che tendono ad accorciarsi per poterli allungare in allenamento, in modo mirato.
I muscoli possono essere allungati per azione degli antagonisti, per trazione di altri gruppi muscolari, per forza di gravità o con l’aiuto di un pater.

Infine è bene precisare che non è razionale usare lo stesso carico ciclico per defaticare (ad esempio: dopo lunghe sedute di allenamento di corsa, non è bene usare la corsa lenta, perché ciò continua a sollecitare il tessuto connettivo, le articolazioni ed i legamenti interessati). In alternativa occorre cambiare struttura d’allenamento: nuoto, esercizi ginnici supini, allungamenti, giochi sportivi per almeno 10 – 15 minuti.
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fig. IX
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Fonte: “TEORIA DELL’ALLENAMENTO” D. Marre
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LA VELOCITA’, DEFINIZIONE E FATTORI CHE LA DETERMINANO


La velocità, qualità fisica dell’uomo, è la capacità di realizzare azioni motorie in tempo minimo; è determinata da tre fattori fondamentali:
1) il tempo di reazione motoria;
2) la rapidità del singolo movimento;la frequenza dei movimenti
3) la frequenza dei movimenti.
Bisogna precisare che le componenti sopra menzionate non sono dipendenti l’una dall’altra; si può essere rapidi nella reazione e lenti nei movimenti, per cui lo sviluppo della velocità nasce da una influenza complessiva sui fattori che la determinano.


CARATTERISTICHE DELLE FIBRE MUSCOLARI:

Inoltre occorre esaminare le caratteristiche delle fibre bianche, o rapide e di quelle rosse, o fasiche. Le differenziazioni più evidenti riguardano le capacità ossidative e quelle glicolitiche, la velocità, la durata e l’intensità delle contrazioni.

Le fibre rosse sono tali per la grossa presenza di mioglobina che aumenta la diffusione di ossigeno e quindi ne predispone la fibra ad un alto consumo; a questa caratteristica se ne affiancano altre, come la bassa velocità di reclutamento delle unità motorie, un elevato numero di mitocondri ed una bassa capacità atpasica.
Le fibre bianche sono all’opposto: alta velocità, alta attività atpasica e glicolitica.

Ovviamente ci sono anche tante fibre con caratteristiche intermedie, che sono poi le responsabili dei diversi livelli di adattamento biochimici e nervosi a seconda dell’allenamento. Quindi l’atleta, in base alle caratteristiche ed alla distribuzione delle sue fibre, si specializza in attività di forza massima, o veloce, o in quelle di resistenza.
Le modificazioni ottenibili con l’allenamento non sono ancora completamente chiarite, è comunque sicuro che modificazioni significative si verificano nella quantità dei substrati energetici (gruppo dei fosfati e glicogeno) e nella struttura nervosa, con variazioni della funzionalità neuro-muscolare.

Possiamo dividere la velocità in ciclica e aciclica.
La velocità ciclica si compone di azioni tendenzialmente identiche ripetute rapidamente, come ad esempi nella corsa veloce dopo la fase di accelerazione e nella velocità del ciclismo su pista dopo la fase di lancio.
La velocità aciclica si differenzia dalla precedente in quanto il gesto non viene ripetuto, ma si tratta di coordinare i movimenti rapidamente, in una singola azione, come ad esempio nell’esecuzione di un qualsiasi tipo di azione tecnica.

Gli eventi fisiologici che si verificano nell’effettuazione di un qualsiasi movimento attraversano cinque fasi:
1) il prodursi di un’eccitazione del recettore;
2) il passaggio dello stimolo nella rete nervosa e la formazione del segnale effettore;
3) la trasmissione dello stimolo al sistema nervoso centrale (S.N.C.);
4) la trasmissione del segnale di risposta dal S.N.C. ai muscoli;
5) la stimolazione del muscolo e la conseguente contrazione di questo.
Ognuna di queste fasi richiede un certo tempo (10/1000 di sec.), in pratica quindi il passaggio attraverso esse contribuisce a limitare la velocità.
Biochimicamente i fattori che limitano la velocità sono la rapidità di demolizione dei substrati energetici immediatamente disponibili (ATP e fosfocreatina), la concentrazione enzimatica e la qualità degli stimoli nervosi.

Un ruolo importante, anche se non determinante, gioca la rapidità delle reazioni motorie; queste possono essere divise in semplici e complesse: per reazione semplice si intende la reazione ad un segnale predisposto con un movimento anch’esso predisposto. Per reazione complessa si intende la reazione ad una situazione non prevista, o parzialmente non predisposta, comprendendo nel tempo di reazione quello necessario alla scelta del movimento di risposta.

Alla velocità di movimento concorrono in forma determinante la forza veloce, la mobilità articolare e la coordinazione specifica.
La prima favorisce la rottura dello stato di quiete ed il superamento di eventuali resistenze esterne; la seconda permette una diminuizione delle resistenze interne, un’escursione più ampia di movimento e quindi un’applicazione per un tempo più lungo; la terza consente di eseguire il movimento con più precisione facendo intervenire con perfetta sincronia tutti i muscoli deputati al movimento. Un ruolo importante nella realizzazione di azioni esplosive riveste anche la capacità di concentrazione; questa capacità varia notevolmente a seconda degli individui ed è migliorabile solo con esercitazioni che coinvolgono notevolmente la volontà stessa dell’atleta.




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MEZZI E METODI PER LO SVILUPPO GENERALE DELLA VELOCITA’


Considerando le varie componenti fisiche e nervose che concorrono alla qualità in oggetto, possiamo definire dei principi generali d’intervento.

Il primo stadio prevede la determinazione nel giovane del grado di reattività motoria a stimoli visivi, uditivi e tattili, dapprima con il metodo delle reazioni semplici (segnale già conosciuto e risposta già predisposta), poi con quello delle reazioni complesse. Come abbiamo precedentemente esposto non esiste un legame tra velocità di reazione motoria e velocità di movimento, ma entrambe concorrono ad esaltare il rendimento dell’atleta nello sport. Stabilito questo fattore di origine prettamente nervosa e poco modificabile, si comincia a lavorare sulla prima componente della velocità di movimento, la forza veloce, senza però ricercare una specializzazione e tenendo presente che per questa qualità in particolare è opportuno intervenire molto precocemente nell’età.
I mezzi più congeniali, sia dal punto di vista metodologico, che da quello pedagogico, sono i giochi sportivi ed i giochi tradizionali.
Per giochi sportivi si intende tutto l’insieme dei giochi con la palla, che presentano una vasta gamma di movimenti ed un’alternanza tra momenti di relativo riposo e momenti di notevole impegno fisico e nervoso.
Per giochi tradizionali si deve intendere quelli che richiedono abilità motoria ed impegno muscolare (vari tipi di staffette, con percorsi d’equilibrio, con ostacoli, ecc.).
Inoltre, come mezzo complementare ai giochi è da considerare il preatletismo in generale, con tutto l’insieme di esercizi a carico naturale che lo compongono.
Per atleti sui 16 – 18 anni è necessario che si intervenga anche con carichi specifici per l’aumento della forza veloce.

Seconda componente essenziale, come abbiamo visto, è la mobilità articolare e la capacità di rapida decontrazione del muscolo. Il mezzo più indicato per migliorarle è la ginnastica d’allungamento, attiva e passiva, da eseguirsi in ogni allenamento; ma esistono anche altri mezzi, quali il fare abituare l’atleta all’ampiezza del movimento. L’importante è che ogni allenatore sappia che una grande mobilità articolare è basilare per la corretta esecuzione di ogni gesto atletico.

Terza componente è la coordinazione generale e specifica.
Il primo intervento deve essere generale: il suo scopo sarà quello di ampliare la capacità di fare movimenti, sfruttando gli esercizi più disparati abbinandoli tra loro e obbligando così il giovane a rielaborare degli schemi motori già acquisiti.
Così facendo si sprona l’intelligenza motoria dell’atleta senza mai consentirgli di adagiarsi sull’abilità che ha raggiunto nei movimenti ormai noti.
Tra questi mezzi possiamo inserire l’acrobatica, con tutta la sua successione di esercizi.
L’intervento successivo consiste nell’insegnamento della tecnica sportiva, ricordando che un’ampia conoscenza dei movimenti rende possibile un migliore apprendimento della tecnica. È questa la prima fase della coordinazione specifica.
In seguito si passerà alla seconda fase della coordinazione specifica, cercando di migliorare la capacità d’esecuzione di un gesto tecnico in situazioni particolari di movimento. Tutto ciò è possibile solo se con il continuo addestramento tecnico e la ripetizione dell’azione, riusciamo ad automatizzare l’azione, escludendo dal normale percorso che deve compiere lo stimolo, per ottenere una risposta motoria, il sistema nervoso centrale (riflesso condizionato).
Per la velocità di movimento possiamo ancora intervenire migliorando un altro dei fattori che la determinano: la volontà, o meglio la capacità di concentrazione.

Riassumendo possiamo dire che la velocità ha due motrici:

1) la prima prettamente nervosa, fatta di percezioni, di trasporti più o meno veloci degli stimoli recettori ed effettori dai muscoli al S.N.C. e viceversa;

2) la seconda prettamente fisica, correlata alle capacità di forza veloce, di mobilità articolare, di coordinazione generale e specifica.

Solo intervenendo in tempo su queste due componenti, in particolare sulla seconda, perché la prima e poco modificabile, si può migliorare in modo apprezzabile. Infatti la velocità, come le altre qualità fisiche, ha un andamento condizionato dallo sviluppo complessivo dell’individuo e in primo luogo dalla sua maturazione fisiologica; comunque rispetto alle altre qualità fisiche, quali la forza e la resistenza, la sua alienabilità è di norma sensibilmente inferiore.

Secondo alcuni autori gli incrementi non superano il 18%, 20% e possibilità concrete di miglioramento si possono avere solo nell’età precoce, diciamo entro i 14 – 15 anni. In seguito gli incrementi saranno relativi ed, in pratica, per ottenerli si potrà agire solo sulla forza veloce.

Per concludere possiamo fare alcuni esempi metodologici che è bene sempre tenere presenti quando si facciano sostenere allenamenti volti ad incrementare la velocità generale e specifica:

1) l’intensità dello stimolo deve essere massimale, tenendo conto che esiste già, o almeno dovrebbe esistere, la padronanza del gesto; la ripetizione sistematica di uno stesso esercizio a velocità costante e non massimale crea, infatti,
una stabilizzazione ed una assimilizzazione del movimento a quella velocità rendendo estremamente difficoltoso il passaggio ad esecuzioni più veloci.
2) la durata dello stimolo deve consentire la realizzazione di movimenti della massima velocità e deve protrarsi per un tempo che risulti sufficientemente allenante (10 ÷ 15 sec.); esecuzioni troppo brevi (2 ÷ 3 sec.) non hanno l’efficacia massimale ed esercitazioni troppo lunghe non consentono lo sviluppo della massima velocità.
3) Il tempo di recupero dovrà essere abbastanza lungo, dai 3 ai 5 minuti e durante esso si dovrà stare attenti a non perdere la dovuta concentrazione nervosa (questo tenendo presente che le prestazioni massimali risultano stressanti dal punto di vista fisico e psicologico).
4) La quantità di lavoro dovrà essere ridotta, essendo alta l’intensità ed il lavoro specifico per la velocità dovrà essere inserito preferibilmente all’inizio dell’allenamento, dopo un riscaldamento accurato, ma non affaticante. Settimanalmente sono sufficienti, per la velocità, una o al massimo due sedute d’allenamento, secondo le necessità soggettive degli atleti ed il periodo di preparazione in atto.

Fonte: “METODOLOGIE DELL’ALLENAMENTO PER
LO SVILUPPO DELLE QUALITA’ FISICHE”
Centro studi del CONI
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LA RESISTENZA ORGANICA AEROBICA



È la qualità che consente di proseguire il più a lungo possibile uno sforzo muscolare generalizzato in condizioni aerobiche, cioè durante uno sforzo che richiede una quantità di ossigeno inferiore od uguale a quella massima che è possibile utilizzare ed utilizzabile.

Semplificando: il muscolo sfrutta direttamente una sola fonte d’energia, l’ATP, che scindendosi in ADP libera energia chimica che viene trasformata in energia meccanica dal muscolo stesso; ogni altra sorgente d’energia non può essere sfruttata direttamente. Ma poiché l’ATP è contenuto in piccole quantità nei muscoli non sarebbe possibile un’attività continuata se non si riformasse a spese di altri processi (vedi il RUOLO DELL’ATP).

Il più diretto ed immediato è la riduzione della fosfocreatina che consente la resintesi dell’ATP ; ma anche la fosfocreatina è contenuta nei muscoli in quantità ridotte e anch’essa non consentirebbe un lavoro prolungato se non si riformasse da altre fonti energetiche biologiche (glicidi, lipidi). Questo avviene in presenza di ossigeno e, da qui, la necessità di assumerne una quantità proporzionale allo sforzo effettuato. Inoltre l’ossigeno interviene nei processi di riduzione dell’acido lattico.

Il livello della resistenza organica aerobica, quindi, dipende dalla capacità di un individuo di assumere e trasmettere ossigeno sempre più rapidamente alle masse muscolari.

Semplificando ancora: durante un allenamento od una gara aumenta la necessità di ATP e, quindi, la necessità di ossigeno per “bruciare” le fonti d’energia biologiche atte a risentitizzare l’ATP stesso. L’atleta potrà aumentare il suo sforzo fisico fino a quando la richiesta di ossigeno sarà uguale a quella che è capace di assumere e far giungere ai muscoli.
Fino a quando l’intensità dello sforzo rimarrà entro questi limiti egli potrà indefinitivamente continuare a sopportarlo (condizione di steady-state), se invece l’intensità dello sforzo aumenterà ancora, egli contrarrà un debito d’ossigeno che gli limiterà la durata dello sforzo stesso e che tratteremo nella resistenza anaerobica.

Per concludere indichiamo gli organi responsabili delle capacità d’ossigenare i muscoli e cioè il cuore e quelli atti all’efficacia degli scambi gassosi ed alcune metodologie generali per migliorarne le funzionalità.

FUNZIONALITA’ CARDIOCIRCOLATORIA: l’allenamento ad intervallo corto è lo stimolo più potente per assicurare lo sviluppo del cuore e della sua capacità funzionale. L’allenamento ad intervallo, di cui il più noto è l’interval-training, è caratterizzato da:

1) durata dello sforzo
2) intensità dello sforzo
3) tempo di recupero
4) numero delle prove
La durata dello sforzo dovrà essere compresa fra ca. 30 secondi e 2 minuti, con esercizi (corsa fino a 400 m., esercizi a carico naturale, giochi, ecc.) tali da garantire i tempi prestabiliti.

L’ intensità dello sforzo dovrà essere compresa tra l’80% e l’85% dello sforzo massimo, cioè i battiti cardiaci dovranno essere tra l’80% e l’85% della soglia massima (vedi fig. I).

I tempi di recupero non devono portare ad una completa ristabilizzazione, il nuovo carico dovrà partire quando avremo una frequenza cardiaca tra 120 e 130 battiti/minuto (tenendo di conto degli obiettivi e dell’età).

Il numero delle prove dipenderà dal grado d’allenamento e comunque tra 5 e 10.


FUNZIONALITA’ DEGLI ORGANI ATTI AGLI SCAMBI GASSOSI: l’allenamento migliore è il lavoro continuo e, cioè, un lavoro che stia tra i 45 minuti ed 1 ora o più e la cui intensità sia tale che la frequenza cardiaca non superi, durante tutto il lavoro, l’80% e non scenda sotto il 65% della soglia massima.
Anche in questo caso l’allenatore potrà sbizzarrirsi nell’indicare i tipi d’esercizio, senza dimenticare che la corsa resta uno dei più efficaci.
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(N.B.: i numeri percentuali e quantitativi possono oscillare ± di leggere variazioni in base all’età, alle caratteristiche ed agli obiettivi dell’atleta)
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La resistenza organica aerobica è alla base di tutte le specialità, in quanto non solo permette di prolungare i tempi d’allenamento, ma favorisce anche il recupero negli sforzi particolarmente intensi, aumentando le capacità di resistenza anaerobica.
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LA RESISTENZA ORGANICA ANAEROBICA


È la qualità che permette di proseguire il più a lungo possibile uno sforzo muscolare generalizzato in condizioni anaerobiche, cioè quando uno sforzo fisico richiede più ossigeno di quello che è possibile assumere (debito d’ossigeno).
In questo caso si forma nei muscoli acido lattico che può essere tollerato in quantità ridotte, dopo di che inibisce le funzionalità del muscolo in quanto è la sostanza chimica causa della fatica. Lo sforzo in queste condizioni può essere molto intenso, ma di breve durata (circa 45 secondi).

Una volta cessato lo sforzo l’organismo si trova nella necessità di eliminare una parte dell’acido lattico accumulato e di resintetizzare il rimanente in acido piruvico e per fare questo occorre recuperare il debito d’ossigeno ed è per questo che dopo uno sforzo intenso, cessato tale sforzo, gli atti respiratori e la frequenza cardiaca non diminuiscono subito, ma permangono numerosi per un certo tempo.
In definitiva, aumentare la resistenza organica anaerobica, significa aumentare le capacità di sopportare quantità sempre maggiori di acido lattico, aumentare, cioè, il debito d’ossigeno che si può accumulare.

La resistenza organica anaerobica dipende principalmente da due fattori:
1) dalla resistenza organica aerobica; infatti è evidente che più grande è la capacità dell’organismo di trasportare ed utilizzare ossigeno in quantità sempre maggiori, più difficilmente si andrà in debito d’ossigeno (occorreranno sforzi sempre più intensi).
2) Dalla capacità fisiologica e psicologica di resistere alla presenza di acido lattico.

Del primo punto abbiamo già parlato, per il secondo l’allenamento più opportuno è quello ad intervallo lungo, o frazionati lunghi; questo prevede i seguenti parametri:
1) durata dello sforzo
2) intensità dello sforzo
3) tempo di recupero
4) numero delle prove

La durata dello sforzo dovrà essere compresa, in base all’intensità dello stesso, tra i 45 secondi ed i 4 minuti, con esercizi di corsa, lavori specifici con o senza carico, ecc.

L’intensità dello sforzo deve essere tale da avvicinarsi il più possibile alla soglia massima del ritmo cardiaco ( vedi fig. I).

Il tempo di recupero dovrà essere quello sufficiente a far tornare la frequenza cardiaca a circa 120 battiti/minuto, o tale da aver pagato in parte il debito d’ossigeno.

Il numero delle prove dovrà essere tra 4 e 8, essendo un allenamento impegnativo.

Per concludere è bene avere presente che l’allenamento ad intervallo lungo è una metodica molto impegnativa (se ben eseguita) e pertanto sconsigliabile a ragazzi di età inferiore ai 15/16 anni ed agli atleti che non abbiano già acquisito una solida resistenza aerobica (una buona preparazione fisica generale).

Fonte: “METODOLOGIE DELL’ALLENAMENTO PER
LO SVILUPPO DELLE QUALITA’ FISICHE”
Centro studi del CONI
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continua nel Libro parte 3...

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